La Parola del Parroco
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11 Maggio 2014
La Chiesa universale oggi prega per le vocazioni: religiose, sacerdotali, missionarie e di speciale consacrazione.
Forse dovremmo pregare perché si ascolti la "chiamata" del Signore.
Credo, cioè, che la questione della vocazione stia anzitutto nella capaci di ascoltare, poi il coraggio della risposta viene un po' di conseguenza.
Concretamente, non ci sono più vocazioni perché non sappiamo più ascoltare la chiamata del Signore.
È un problema della nostra società: si fa fatica ad ascoltare gli altri, figuriamoci il Signore! In un tempo in cui sembra che sia necessario urlare per farsi sentire, come si fa ad ascoltare la voce lieve e soave del Signore che parla al cuore? In un tempo in cui l'autoreferenzialità e l'affermazione di sé sembrano essere i criteri di realizzazione della persona, come è possibile affidarsi a una Parola che viene da fuori di sé, addirittura che viene dall'alto?
Un detto della tradizione popolare dice: "Dio ci ha dato due orecchie, ma soltanto una bocca, proprio per ascoltare il doppio e parlare la metà". E un grande teologo del secolo scorso, Karl Rahner, definiva il cristiano "uditore della Parola'.
Che fare, allora?
Semplicemente ritornare ad ascoltare, e poi ad obbedire. Deve essere un ascolto corale, di tutta la Chiesa: l'abbondanza della Parola di Dio proclamata nella liturgia è una grande occasione di ascolto; e deve essere un ascolto anche personale: la possibilità di leggere, meditare e pregare i testi sacri sono condizione per un dialogo personale con il Signore Gesù che comunque ancora oggi chiama a seguirlo.
Pregare per le vocazioni, perciò, vuol dire pregare perché si diventi docili all'azione dello Spirito che parla al nostro cuore e, dobbiamo crederlo, parla ancora oggi al cuore dei nostri giovani.