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12 Aprile 2014
La domenica delle Palme mette a nudo una umanità piena di contraddizioni: la folla che prima osanna Gesù e poi chiede a piena voce che sia crocifisso; i discepoli che seguono Gesù sapendo di rischiare la vita, ma poi si defilano spaventati; i capi del popolo che hanno paura di Gesù e cercano il pretesto per arrestarlo e ucciderlo: Pietro e Giuda che arriveranno addirittura al tradimento.
È un'umanità fragile, piena di paure, che non ha ancora capito chi è quell'uomo così particolare, così capace di suscitare entusiasmo ma anche opposizioni viscerali. Una umanità che attende un segno, che pensa di averlo trovato nell'uomo che si proclama Messia ed entra da trionfatore in Gerusalemme, ma poi si deve ricredere: non ê quello il segno; ė un falso allarme; il segno deve ancora venire.
Dal canto suo Gesù entrando in Gerusalemme ha un solo obiettivo: non quello di trovare consenso e acclamazione, ma quello di portare a compimento la sua missione. Tira diritto per la sua strada, perché solo con il dono della vita non solo avrebbe donato salvezza al mondo intero, ma avrebbe dato alla folla smarrita la certezza che sì, Lui era veramente il Messia atteso, e che a Lui si poteva affidar la propria vita, senza più incertezze, senza più paura, nemmeno della morte.
L'umanità smarrita trova non nel Gesù potente, ma nel Gesù che va a morire come l'ultimo dei malfattori la sua stella polare, la roccia di cui fondare la vita, la sicura speranza di una libertà riscattata da ogni forma di fragilità.
Celebrare la festa delle Palme è perciò fare come Gesù: decidere di andare fino in fondo, decidere di affidare la nostra vita a Lui e accettare di percorrere con Lui la strada che conduce a Pasqua: la strada di chi fa della propria vita un dono, senza tentennamenti, senza altri ripensamenti, certi che solo nel donare la vita la si ritrova, come il seme che deve morire per portare frutto.