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20 Ottobre 2024
«Ricevi il Vangelo di Cristo del quale sei divenuto l'annunciatore: credi sempre ciò che proclami, insegna ciò che hai appreso nella fede, vivi ciò che insegni». È la formula usata dal vescovo per il “Rito esplicativo della Consegna del Libro dei Vangeli”, dopo l’imposizione delle mani e la solenne preghiera di ordinazione sui diaconi. L’abbiamo ascoltata anche sabato 5 ottobre in Duomo a Milano per l’ordinazione di don Giorgio che oggi “festeggiamo”. Assieme a lui facciamo festa per padre Raoul che ricorda il 10° anniversario dell’ordinazione presbiterale (preceduta da quella diaconale).
Ancor più per il nostro caro padre comboniano ma certo anche per don Giorgio (che diventerà prete a giugno) le parole che ho citate sono un invito alla fede nella parola predicata quale espressione della Parola annunciata. Non è solo questione di credere per primi a ciò che si predica agli altri. Ciò vale per qualsiasi consiglio, esortazione, insegnamento: non li accogliamo di buon grado se chi ce li propina è il primo a non crederci. Nel caso di chi è ordinato diacono la fede richiesta nella parola predicata è quella evocata da San Paolo nella prima lettera ai Tessalonicesi: «Avendo ricevuto da noi la parola divina della predicazione, l'avete accolta non quale parola di uomini, ma, come è veramente, quale parola di Dio, che opera in voi che credete» (1Ts 2,13).
In secondo luogo, nella formula del Rito esplicativo si invita a insegnare ciò che è stato appreso nella fede. Il sacramento dell’Ordine nei suoi vari gradi (vescovo, presbitero e diacono) conferisce il compito di “insegnare”, di istruire il popolo di Dio. E il contenuto di questo insegnamento deve attingere alla fede personale. Non si è chiamati a indottrinare, a impartire lezioni di una teoria. Ma si deve insegnare un Vangelo in cui si crede come annuncio di salvezza e solo questo. Ma per farlo – ed è il terzo monito – si deve vivere ciò che si insegna. È certamente la richiesta di essere coerenti tra parola annunciata e vita personale. Ma è anche invito ad essere testimoni credibili (più che maestri) e quindi ad avere una vita esemplare.
Trasformo allora quella formula inziale in augurio per don Giorgio perché sia in mezzo a noi “vangelo vivente” e per padre Raoul perché nella gioia di essere prete rinnovi la sua vocazione missionaria anche nella nuova destinazione in una parrocchia di Milano. Qui, in viale Padova, dove vive molta gente di diverse etnie, culture e religioni, sia con la sua presenza gioiosa annunciatore di quel Vangelo di salvezza per una nuova e fraterna umanità.