La Parola del Parroco
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28 Novembre 2021
Abbiamo sentito spesso papa Francesco incitarci ad essere “cristiani gioiosi” perché quelli con i musoni e mai sorridenti evidentemente non esercitano alcuna attrattiva. Certamente non è solo questione di aver stampato sul viso un sorriso artefatto. La gioia deve essere profonda. E il papa ha voluto che alcune sue encicliche già nel titolo richiamassero questo tema: La gioia del Vangelo, enciclica “programmatica” del suo pontificato sul tema della evangelizzazione; La letizia dell’amore, sul tema dell’amore sponsale; Gioite ed esultate sul tema della santità. Indubbiamente non basta fermarsi ai titoli, come precisa il nostro Arcivescovo nella sua proposta pastorale con la quale ci chiede di essere una Chiesa “lieta”. Per questo, cita l’enciclica Gioite ed esultate: «Quanto detto finora non implica uno spirito inibito, triste, acido, malinconico, o un basso profilo senza energia. Il santo è capace di vivere con gioia e senso dell’umorismo. Senza perdere il realismo, illumina gli altri con uno spirito positivo e ricco di speranza». È bello ricordare il connubio tra santità e gioia. A volte pensiamo ai santi come a persone serie o con sguardi mesti, se non segnati da smorfie di sofferenza. Invece chi vive il Vangelo con tutto se stesso non può che essere trasformato da esso che è “buona novella”. E quando porti una buona notizia non puoi che far gioire chi la riceve e tu essere contento con lui e per lui. Per questo i santi sono gioiosi, sono beati. E forse si può dire che la “prova del nove” della santità è proprio essere cristiani e cristiane gioiosi. È la prova che stiamo prendendo sul serio il Vangelo e il nostro essere cristiani (e ciò non vuol dire essere seriosi). L’aureola dei santi è segno di una luce che il loro viso emana, riflesso della luce di Dio. Le parole del papa sottolineano che come i santi anche noi dobbiamo avere i piedi ben piantati a terra («senza perdere il realismo») e nello stesso tempo illuminare gli altri perché, nel buio del pessimismo e dell’incertezza di questi tempi difficili, sappiano vedere assieme a noi il bene che c’è e che promette un futuro diverso. Dobbiamo essere come gli angeli (“messaggeri”) di Natale che, squarciando di luce il buio della Notte santa, indicano ai pastori la Luce che si è appena accesa in una capanna di Betlemme. Vedere il bene è vedere i segni della presenza di Dio in mezzo a noi, perché dove c’è il bene, dove c’è chi fa il bene lì c’è Dio. E come gioiremo ancora alla vista del neonato Gesù, così dobbiamo gioire del bene e ravvivare la speranza. Mi vengono in mente altre parole di padre Turoldo, prese da un poetico inno d’Avvento, E cielo e terra: «Per contemplarti negli occhi di un bimbo / e riscoprirti nell’ultimo povero, / vederti piangere le lacrime nostre / oppur sorridere come nessuno». Sorridiamo anche noi con Lui!