La Parola del Parroco
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05 Aprile 2020
In questi giorni si accalcano le parole e i messaggi sui nostri cellulari per esprimere quello che sentiamo nel nostro cuore di credenti (e non) per la situazione che stiamo vivendo. E tutti viviamo anzitutto la fatica del quotidiano reclusi in casa, tra paure e nervosismi, tra riscoperte e consolazioni. Anche la nostra fede viene interrogata, la nostra vita di preghiera è forse risuscitata, l’affidamento a Dio più accorato. In modo particolare poi siamo smarriti pensando che non potremo vivere i riti del Triduo pasquale (come si è sempre fatto, non in molti a dire il vero), ripetere i gesti della pietà popolare (l’ulivo, il bacio al crocifisso), celebrare la S. Messa di Pasqua (per molti l’unica messa dell’anno…). Tanti “praticanti”, ma non solo, sentono la mancanza della vita comunitaria; soprattutto a noi sacerdoti che viviamo per la Comunità! Ci sentiamo tutti un po’ soli (singolarmente o come nucleo famigliare).
Iniziando la Settimana santa vorrei allora invitarvi a meditare e contemplare la solitudine di Gesù che soprattutto emerge nei giorni della sua passione e morte, perché, se ci pensiamo bene «al cuore della fede cristiana c’è un uomo morto in totale isolamento». Già a partire dal suo ingresso a Gerusalemme, che oggi celebriamo. Pur immerso nella folla osannante che spera sia lui, come Messia “figlio di Davide”, a iniziare la rivoluzione, nessuno capisce la scelta di cavalcare un umile giumento, di rigettare come tentazione ogni volontà di potenza. E poi qualche giorno dopo è abbandonato da tutti fino ad essere «innalzato sulla croce al di sopra della folla, senza più alcun contatto», con la sensazione di essere separato dal Padre («Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?»). «In quel momento egli non ha solo abbracciato le nostre morti. Egli ha fatto del tutto sua la solitudine che tutti noi, talvolta, sopportiamo e che milioni di persone stanno oggi vivendo». Eppure nella solitudine, proprio nella “notte in cui veniva tradito” (come recita la preghiera eucaristica), ci ha fatto il dono di una nuova comunione (una “nuova alleanza”) nei simboli del pane e del vino “sacramento” del suo corpo donato e del suo sangue versato sulla croce; cioè del dono della sua vita per un amore fino all’estremo. E quando noi ripetiamo quel donare la vita nella carità (sostenuti dal sacramento dell’eucaristia), lui vive con noi. Lo ripetiamo anche ora in tanti piccoli gesti di solidarietà che ci uniscono in questo tempo di “distanze” e isolamenti (es. fare la spesa per un’anziana sola…).
«Anche quando non posso raggiungere la comunità in preghiera e unirmi a essa, Dio rimane presente, come scrive sant’Agostino, “nel profondo della mia interiorità”. Per quanto mi senta solo, non lo sono, perché al centro del mio stesso essere c’è un Altro» (testi citati di p. Timothy Radcliffe).