La Parola del Parroco
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16 Febbraio 2020
“Il piacere spirituale di essere popolo” è il titolo di un capitoletto della Esortazione Apostolica La gioia del vangelo di papa Francesco. I contenuti espressi in questi pochi paragrafi (dal n. 268 al n. 274) ci aiutano a vivere la preghiera in queste Giornate Eucaristiche. Scrive il papa: «Quando sostiamo davanti a Gesù crocifisso, riconosciamo tutto il suo amore che ci dà dignità e ci sostiene, però, in quello stesso momento, se non siamo ciechi, incominciamo a percepire che quello sguardo di Gesù si allarga e si rivolge pieno di affetto e di ardore verso tutto il suo popolo». La nostra dignità, il riconoscimento del bene che siamo, nonostante i nostri peccati, la stima che ci fa tenere alto lo sguardo e che ci porta ad amare noi stessi, tutto ciò nasce dall’esperienza dell’amore che Dio ha avuto per noi fino a donare il suo Figlio. Come scrive san Paolo nella lettera ai Romani censurando il comportamento di chi non rispetta la sensibilità dell’altro «uno per il quale Cristo è morto». Sostando davanti all’eucaristia, che è memoriale della morte e risurrezione di Gesù, prima di essere noi a “guardare” Gesù, sentiamoci guardati da Lui con quello sguardo pieno di tenerezza e misericordia, ricco di un amore che ci rende degni e meritevoli del sacrificio di Gesù. Nello stesso tempo, come scrive il papa, dobbiamo percepire che lo sguardo del Signore si allarga a tutto il popolo di Dio. Uno sguardo pieno di amorevolezza, come quello di Gesù verso la gente che incontrava, soprattutto verso i peccatori. Uno sguardo verso il popolo che deve essere anche il nostro nell’intento non solo di imitare Gesù, ma anche con questo desiderio: «Ogni volta che ci incontriamo con un essere umano nell’amore, ci mettiamo nella condizione di scoprire qualcosa di nuovo riguardo a Dio. Ogni volta che apriamo gli occhi per riconoscere l’altro, viene maggiormente illuminata la fede per riconoscere Dio» scrive ancora il papa. La nostra Comunità cristiana, chiamata ad essere casa e scuola di comunione, deve offrire questa testimonianza di amore che già inizia con la capacità di guardare l’altro nella sua dignità di «uomo per il quale Cristo è morto», di guardare la vita degli altri non per giudicare ma per domandarci: che cosa posso fare io per lui perché sia felice? «Perché se riesco ad aiutare una sola persona a vivere meglio, questo è già sufficiente a giustificare il dono della mia vita». E iniziamo dalla stima reciproca, non cedendo al vezzo odierno di fare dell’altro l’oggetto di insulti, di derisione, di svalutazione. Non cediamo alla diabolica tentazione della mormorazione e della chiacchiera malevola, serpeggiante anche nella nostra comunità, che vuole privare l’altro della sua dignità e, quando anche avesse sbagliato, della possibilità di redimersi e di cambiare. Non è quello che fa Dio con noi?