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02 Febbraio 2020
In questa domenica si assommano diversi eventi. Anzitutto, essendo il 2 febbraio, 40 giorni dopo Natale, celebriamo la solennità della Presentazione di Gesù al tempio di Gerusalemme. È un episodio narrato da San Luca in cui Maria e Giuseppe adempiono a due prescrizioni della Legge mosaica. Maria, terminato il periodo di 40 giorni in cui era puerpera e il sangue del parto l’aveva resa “impura”, deve offrire un sacrificio per poter tornare alla vita sociale; e poi essendo Gesù un primogenito maschio e quindi sacro al Signore (cioè “appartenente” a Lui), deve essere riscattato con un’offerta per poterlo “tenere”. Proprio rifacendosi a questa tradizione della “consacrazione” del primogenito, da alcuni decenni questa solennità è occasione per pregare e riflettere sulla vita consacrata, cioè su quegli uomini e quelle donne che si donano totalmente a Dio nella povertà, obbedienza e castità. Infine in questa prima domenica di febbraio, la Chiesa italiana celebra la Giornata in difesa della vita, dal suo concepimento alla sua fine naturale, per contrastare la piaga dell’aborto diretto e le spinte verso l’eutanasia. Ho letto con un certo sgomento che l’anno scorso in Italia sono stati praticati (legalmente) 80.000 aborti, 9 ogni ora dell’anno! E così il nostro Paese rischia di non avere un futuro…
Che cosa unisce queste tre ricorrenze? La consapevolezza che la vita è un dono di Dio e per questo l’atteggiamento da assumere di fronte ad essa è quello dello stupore per un mistero che si rinnova con il concepimento di un bambino e con la fragilità di un malato grave. Scrivono i nostri vescovi nel messaggio per l’odierna Giornata in difesa della vita: «Tutto nasce dalla meraviglia e poi pian piano ci si rende conto che non siamo l’origine di noi stessi. Possiamo solo diventare consapevoli di essere in vita una volta che già l’abbiamo ricevuta, prima di ogni nostra intenzione e decisione. Vivere significa necessariamente essere figli, accolti e curati, anche se talvolta in modo inadeguato». Quindi la vita non ci “appartiene” e non ne possiamo disporne come vogliamo. Le persone consacrate ci testimoniano, in modo radicale, l’appartenenza a Dio di cui ognuno di noi deve essere consapevole nella specificità della propria vita evidentemente (e necessariamente) diversa da quella di una persona consacrata. Tuttavia siamo chiamati tutti a vivere il riferimento a Dio, da cui proveniamo e verso cui siamo incamminati. Nello stesso tempo, riflettendo sulla legge della puerpera (che anche in altre culture si vive), siamo indotti a considerare come la nostra società italiana abbia rispetto della donna e della maternità, come sia in grado di aiutare le gestanti in difficoltà economica, come le condizioni lavorative siano favorevoli alla decisione di avere un figlio: c’è ancora molto da fare!