La Parola del Parroco

La notizia del vandalismo perpetrato nel cimitero comunale di Venegono Inferiore ha fatto in breve il giro del paese e di quelli intorno. La consuetudine di molti di visitare le tombe dei propri cari appena aperti i cancelli alla mattina, ha fatto sì che il fatto fosse subito scoperto e si avvisassero parenti e amici per una ricognizione al fine di constatare eventuali danni. L’evento, con tanto di reportage fotografico, è diventato scoop sui social media (Facebook e altri) e poi tra le news dei giornali online (più tardi sull’edizioni cartacee). Il fatto ha generato sconcerto e sdegno perché è stato violato un luogo sacro (anche se ormai i cimiteri non sono più “campi santi”) e arrecato offesa ai propri morti. La furia cieca (anche se non del tutto, visto che sono state prese di mira soprattutto tombe precise) ha arrecato non solo danni ma ha ferito una comunità. Le autorità hanno voluto subito informare la popolazione che l’autore/gli autori del misfatto era già stato identificato e “fermato” e che si trattava di “uno squilibrato” al fine di stroncare sul nascere polemiche o caccia alle streghe. Nonostante ciò, sui social è cominciata la consueta catena di commenti sdegnati, prendendo di mira la gioventù sbandata (ahimè effettivamente protagonista non si rado di eventi simili), invocando giustizia (o giustizialismo?), lamentando l’impraticabilità di risarcimenti. A distanza di pochi giorni è subito circolato il nome di almeno una persona coinvolta conosciuta (in un pese piccolo tutti sanno quasi tutto), nonostante il riserbo che dovrebbe essere assicurato (e certamente lo è stato da parte degli organi inquirenti) anche da chi viene a sapere e dovrebbe mantenere un segreto. Anche perché una volta saputo chi è il probabile autore, allo sdegno del fatto si è aggiunto lo stupore perché non ci si aspettava un tale gesto da esso.

Che cosa fare ora? Invito tutti a vivere la virtù della pietà mettendo a tacere inutili pettegolezzi. Lasciamo che la giustizia faccia il suo corso (il che non vuol dire – in generale - dare ragione a chi pretende di averla ma onorare la verità e dare la possibilità di redimersi). Ci sia il rispetto per la persona (che non significa disconoscerne la colpevolezza) e soprattutto per la sua famiglia, certamente la prima a soffrire e provare il disagio davanti alla comunità. Tutti ci sentiamo impotenti davanti ai comportamenti inspiegabili e imprevedibili e con il noto “senno di poi” tutti sarebbero capaci di prevenire misfatti. La bellezza di una comunità sta nella sua capacità di stringersi unita perché la forza di andare oltre ricreando stima, donando speranza, confortando, rieducando, viene solo dalla volontà di non perdere nessuno evitando ostracismi (o scomuniche). Ancor più se questa comunità non è solo quella civile ma anche quella cristiana che crede nel Dio della misericordia.