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Dal Messaggio dei Vescovi Lombardi alle nostre Diocesi all’inizio dell’anno pastorale
26 Settembre 2020
«Sentiamo il desiderio che giunga a tutti una
parola amica, in questo momento di complicata ripresa delle attività consuete,
che è segnata dall’assedio dell’epidemia…
Vorremmo raggiungere tutti con una parola amica che incoraggi a guardare il futuro con speranza…
La parola della riconoscenza, le espressioni di stima, l’apprezzamento per le fatiche straordinarie affrontate nel servizio sanitario, nella didattica a distanza, nella gestione dei servizi essenziali nei negozi, nei cimiteri, nella gestione dell’ordine pubblico, tutto questo può cambiare il clima della convivenza ordinaria...
Nei giorni del blocco, abbiamo sofferto di liturgie sospese, di partecipazioni solo virtuali alle celebrazioni, e insieme abbiamo avuto esperienze di preghiere in famiglia meglio condivise, di preghiere on-line divenute consuete, di sovrabbondanti offerte di trasmissioni di momenti di preghiera…
Questo è il tempo adatto per imparare di nuovo a celebrare, a pregare insieme, a pregare personalmente, a pregare in famiglia. Ritroviamo nella domenica, nel giorno del Signore e “Pasqua della settimana”, il gusto e la gioia di riscoprirci Chiesa, popolo santo convocato intorno all’altare per celebrare l’Eucaristia, dopo i lunghi giorni in cui non è stato possibile radunarci….
Abbiamo provato fastidio per le discussioni inconcludenti, per i pronunciamenti perentori, per slogan e luoghi comuni. Adesso abbiamo bisogno di imparare a pensare. Il pensiero promettente è quello che introduce alla sapienza: non solo l’accumulo di informazioni, non solo la registrazione di dati, non solo le dichiarazioni di personaggi resi autorevoli più dagli applausi che dagli argomenti. Cerchiamo il significato delle cose, non solo la descrizione dei fatti; abbiamo bisogno di imparare la prudenza nei giudizi, il vigile senso critico di fronte alle mode e ai pensieri comandati, la competenza a proposito della visione cristiana della vita…
Forse non pensavamo che la morte fosse così vicina e terribilmente quotidiana, come il tempo dell’epidemia ha rivelato in modo spietato: molte persone che abbiamo conosciuto e amato sono andate sole incontro alla morte, molti contagiati dal virus hanno sentito la morte vicina nell’esperienza drammatica della terapia intensiva, tutti coloro che hanno avvertito sintomi gravi hanno sentito il brivido del pericolo estremo...
Abbiamo imparato e dobbiamo imparare che la delega delle cure alle istituzioni e alle professionalità specializzate non può essere un alibi. La fraternità ci chiede quella forma di prossimità che coinvolge personalmente in relazioni di aiuto, in legami affettuosi, in parole di conforto e di testimonianza…
Praticare il gesto minimo che dà volto di fraternità alla società, che coltiva l’arte del buon vicinato, che vive la professione e il tempo libero come occasioni per servire al bene comune. Ciascuno trova la sua sicurezza non nell’isolamento, ma nella solidarietà».