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Per vivere meglio la Celebrazione Eucaristica: i "grandi testi" - 3
29 Aprile 2018
Il Padre nostro è la preghiera che Gesù ha insegnato
ai suoi discepoli. I Vangeli ne offrono due recensioni: una, più breve, secondo
Luca (cfr. Lc 11, 2-4); l’altra, più lunga, secondo Matteo (cfr. Mt 6, 9-13).
Quest’ultima, insegnata ai catecumeni durante la preparazione al battesimo,
entrò ben presto nella messa collocata tra i riti preparatori alla comunione:
immediatamente dopo la conclusione della preghiera eucaristica nel Rito romano;
a seguito della frazione del pane e del corrispettivo canto allo spezzare del
pane nel Rito ambrosiano. In entrambi i casi questa collocazione instaura uno
stretto collegamento tra la «preghiera del Signore» con le sue molteplici
richieste e la comunione sacramentale, nella quale i fedeli ricevono in dono
ciò che chiedono e vengono resi capaci di attuare quello che implorano. In
particolare, come ricordano le Premesse al
Messale, «si chiede il pane quotidiano, nel quale i cristiani scorgono anche
un riferimento al pane eucaristico e si implora la purificazione dei peccati,
così che realmente “i santi doni vengano dati ai santi”».
La recitazione del Padre nostro nella messa comporta tre distinte sequenze rituali: a) L’invito alla preghiera; b) Il testo pregato insieme dal sacerdote e dai fedeli; c) l’embolismo «Liberaci, o Signore», concluso dall’acclamazione «Tuo è il regno». Le tre sequenze, o la sola preghiera del Padre nostro, specialmente nelle messe festive, possono essere eseguite anche in canto.
a) L’invito alla preghiera comporta una breve monizione del sacerdote, per la quale ci sono diverse formule, da usarsi alla lettera o in modo più libero (con queste parole o altre simili). Il testo tradizionale, l’unico previsto fino alla recente riforma liturgica, rimarca il fatto che la recita del Padre nostro è un atto di obbedienza e un coraggioso ardimento. L’obbedienza, nella fede e nell’amore, è dovuta a Gesù Cristo (obbedienti alla parola del Salvatore), che con il suo «divino insegnamento» ha formato i discepoli alla preghiera dei figli. Il coraggioso ardimento (osiamo dire) è condizione necessaria per chiamare Dio con il nome di «Padre», figli nel Figlio Gesù e fratelli tra noi. Si può osare una preghiera filiale perché ce lo ha comandato lo stesso Figlio, perché Gesù prega per noi, con noi e in noi e perché lo Spirito Santo, che è lo Spirito del Padre e del Figlio, grida nei nostri cuori «Abbà! Padre!» (Rm 8, 15. Gal 4, 6). È ciò che viene esplicitato nelle nuove monizioni le quali, se da un lato insistono sul fatto che il Padre nostro è la «preghiera che Gesù stesso ci ha insegnato», dall’altro mettono in luce come sia sempre lo Spirito di Gesù a guidare nella preghiera.
b) Nell’avvio della «preghiera del Signore» troviamo due caratteristiche essenziali della preghiera cristiana: è rivolta a Dio Padre (…che sei nei cieli); è formulata con il noi della comunione dei figli, resi partecipi della singolare figliolanza di Gesù Cristo (Padre nostro). La paternità divina ha un valore specifico (Dio è Padre di coloro che hanno creduto nel Figlio Gesù), che si apre a un valore universale (Dio è Padre di tutti gli uomini, sue creature). Nella sua valenza specifica il Padre nostro è la preghiera dei battezzati, i quali mediante il lavacro della rigenerazione sono diventati figli di Dio «per adozione». Universalmente parlando, è la preghiera di tutti gli uomini che riconoscono in Dio la propria origine. Nella prima parte del Padre nostro l’attenzione va alla glorificazione di Dio Padre (sia santificato il tuo nome, venga il tuo regno, sia fatta la tua volontà, come in cielo così in terra); nella seconda parte vengono in primo piano le esigenze materiali e spirituali dei credenti o, più genericamente, degli uomini che riconoscono in Dio la radice del loro essere (dacci oggi il nostro pane quotidiano, rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori, e non ci indurre in tentazione, ma liberaci dal male). Di recente, si è discusso sul rischio di fraintendere l’espressione «e non ci indurre in tentazione». Chiarito che, nel suo significato autentico, queste parole non contraddicono l’annuncio evangelico della bontà di Dio, «il quale vuole che tutti gli uomini siano salvati» (1Tm 2, 4), al momento si deve continuare a recitare il testo nella forma prescritta, attendendo le future indicazioni del magistero. I fedeli recitano il Padre nostro stando in piedi e, almeno per gli ambrosiani, «a braccia allargate». In piedi si manifesta la dignità dei figli, morti al peccato e risorti a vita nuova mediante il battesimo. Nelle braccia allargate, con le palme delle mani rivolte al cielo, è espressa la tensione verticale di tutta la preghiera e, secondo alcuni antichi scrittori, è raffigurato il suo dinamismo trinitario (per mezzo di Cristo nell’unità dello Spirito Santo). La norma liturgica non contempla invece le mani strette ad altre mani per sottolineare l’unità dei figli tra loro.
c) Con l’embolismo (Liberaci, o Signore…) il sacerdote riprende e sviluppa l’ultima domanda del Padre nostro, chiedendo, nel tempo che ci separa dal ritorno di Gesù Cristo nostro salvatore, la liberazione «da tutti i mali», fisici psichici e spirituali, e la sicurezza «da ogni turbamento». I fedeli confermano le parole del sacerdote con un’acclamazione dal forte valore ecumenico (Tuo è il regno, tua è la potenza e la gloria nei secoli), che era già in uso nel I secolo dell’era cristiana